Se parliamo di summit internazionali e olimpiadi, giochi senza frontiere e trattative di pace, congressi storici e visite aziendali, non riusciamo a trovare un nesso logico che leghi questi eventi tra loro; eppure, esiste un elemento che li accomuna tutti, dal primo all’ultimo, e che è decisamente fondamentale per la buona riuscita di ciascuno di questi, seppur molto spesso non sia preso in considerazione e resti completamente nell’ombra. Ora, vi starete chiedendo di chi o di cosa si tratta? Beh, dell’interprete naturalmente!

Senza un valido interprete, infatti, nessuna delle attività sopra elencate, che preveda la partecipazione di persone provenienti da diversi Paesi, che parlano dunque lingue differenti, potrebbe o avrebbe potuto – dalla torre di Babele in avanti – avere luogo.

La parola interprete, oggi, richiama immediatamente alla mente gli incontri delle grandi organizzazioni mondiali, dall’ONU alla NATO, dall’UNICEF alla FAO, per citarne solo alcune, che non potrebbero certo avvenire se queste figure, la cui presenza spesso rimane invisibile, non fossero invece più che presenti e altamente specializzate. Certo, a decidere le sorti del pianeta sono i grandi capi di Stato, ma molti di essi non potrebbero comunicare tra loro senza l’ausilio di uno o più validi interpreti.

Come è noto ai più, esistono diversi tipi di interpretariato e diversi tipi di interpreti, ma questo post non vuole soffermarsi su questo punto o su altri punti prontamente reperibili in rete, ad esempio sulla pagina del nostro sito dedicata appositamente agli interpretariati, bensì, vuole porre l’attenzione sul ruolo di invisibilità che dovrebbe appartenere di default a un interprete e su occasioni in cui invece alcuni interpreti, seppur assolvendo pienamente al loro incarico, hanno involontariamente attirato l’attenzione su di loro e, proprio per questo, sono diventati noti loro malgrado.

Come non pensare all’evento più recente di cui si è resa protagonista l’interprete incaricata di mediare tra il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in occasione della visita ufficiale del nostro capo di Stato nell’importante cornice della Casa Bianca. La dottoressa Elisabetta Savigni Ullmann, attualmente docente all’Università del Maryland e già interprete italiana dei passati presidenti Clinton, Bush e Obama, nonostante la sua pluriennale esperienza nel settore non è riuscita a risultare invisibile; anzi, ha lasciato più che intravedere sul suo volto l’incredulità derivante da alcune affermazioni indubbiamente discutibili del Presidente Trump, che si sarebbe poi trovata costretta a riportare al presidente Mattarella; per non parlare dell’accenno al fatto che gli Stati Uniti e l’Europa hanno un legame ultramillenario, risalente addirittura all’Antica Roma; o le innumerevoli ripetizioni del termine “server” nel giro di pochi secondi. 

Nell’epoca dei social media, tali gaffe, riversatesi anche sull’incolpevole interprete, sono diventate virali nel giro di poche ore, così come le immagini ritraenti il volto quasi imbarazzato e sconcertato della Dott.ssa Savigni Ullmann. Twitter, Facebook e persino le principali testate giornalistiche hanno riportato e condiviso tali momenti imbarazzanti, senza mancare di mettere in primo piano le espressioni facciali dell’interprete.

Su YouTube si può trovare il video completo dell’incontro tra il presidente Trump e il presidente Mattarella, ma anche molti altri video inerenti le difficoltà cui gli interpreti vanno incontro quando si trovano a dover riportare frasi non pienamente comprensibili o con cui si trovano completamente in disaccordo (qui sotto, ad esempio, trovate uno spezzone tratto dal programma americano The Daily Show in cui gli interpreti di personalità note, tra cui il già citato Presidente Trump, si trovano a dover rispondere in chiave ironica a questioni su tali impasse).

Riportiamo ora, grazie a una testimonianza di Angelo Macri (uno degli oltre 100 interpreti per le Nazioni Unite) un altro esempio di un interprete divenuto famoso, suo malgrado. 

Nell’autunno del 2009 Muammar Gheddafi tenne un discorso di 96 minuti all’assemblea delle Nazioni Unite. Il raìs era solito portarsi il suo fidato interprete Fouad Zlitni. Considerando che l’interpretariato ideale è composto da mezz’ora di interpretariato intervallato da mezz’ora di pausa, seguire le esternazioni del dittatore fu in quel caso uno sforzo quasi fatale per l’interprete, il quale, al minuto 75 del monologo del leader libico, si lasciò sfuggire un: “I just can’t take it anymore”.

Oltre all’evidente difficoltà di interpretare discorsi di tale portata, c’è sicuramente da tener conto dell’altresì evidente riservatezza delle informazioni che tali interpreti hanno il compito di veicolare. Si tratta di un aspetto per nulla semplice né scontato, che coloro che decidono di intraprendere questo percorso diplomatico della traduzione devono considerare come primario. Per fare l’interprete ci vogliono precisione, concentrazione e uno sforzo mentale abnorme.

Portiamo ora un esempio di un interprete nostrano che si fa paladino dell’invisibilità del mediatore, tant’è che se ne conosce certamente più la voce che il volto, non solo in Italia, ma anche all’estero, ossia Paolo Maria Noseda, interprete storico della trasmissione “Che tempo che fa”, oltre che di moltissime altre trasmissioni televisive e interprete personale di personaggi come Patti Smith e Roberto Saviano, nonché di altre innumerevoli personalità note.

Nel suo libro “La voce degli altri”, Noseda definisce l’interprete come “colui che mette in comunicazione due mondi” e per farlo, afferma sempre l’autore in una sua intervista del 2013, “devi essere estremamente severo con te stesso e anche molto curioso. La curiosità è un po’ una chiave di volta di tutto. Stratagemmi no, piuttosto tanta tecnica”. E, aggiunge, molto studio e conoscenza della persona che dovrai tradurre, a voce o per iscritto. “Ho appena tradotto Eduardo Galeano. […] Io avevo letto due suoi libri e ho dovuto leggermene dodici. […] si deve conoscere quello che la persona ha fatto, il suo ambiente, dove vive, quello che fa, come si comporta tutti i giorni e, a volte, anche i pettegolezzi sono necessari. Solo così posso farmi un quadro di chi sia la persona che ho di fronte. Il mio lavoro non è semplicemente tradurre, ma entrare nel cervello e nel cuore delle persone e cercare di prendere un pezzettino di questo cuore e di questo cervello e farlo capire agli altri.

Per concludere, in merito a quanto sopra accennato riguardo il ruolo di invisibilità proprio dell’interprete, Noseda afferma: “La gente mi chiede perché non mi faccio intervistare da Fazio, il mio lavoro non è quello di essere intervistato: se io avessi voluto fare l’attore o il personaggio pubblico lo avrei già fatto. Ma il mio lavoro è stare dietro le quinte e prestare la mia voce nel miglior modo possibile per le persone se mi mettono nelle condizioni di lavorare. […] Riesco ad essere molto neutro sui personaggi che devo interpretare perché loro sono loro, non sono io.”

fonti:

https://www.bbc.com/news/world-us-canada-11377609

https://www.gliamantideilibri.it/a-tu-per-tu-con-paolo-maria-noseda/