LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA [parte 2]

Parte II – Il doppiaggio come trasposizione complessa

Perché si parla di trasposizione e non di traduzione? Una trasposizione linguistica differisce dalla semplice traduzione in lingua, in quanto adattare, cioè trasporre linguisticamente un linguaggio di natura contestuale, implica: 1) trovare delle soluzioni pratiche che comprendano quanto più possibile il rispecchiamento del suono e del senso del materiale originario, 2) un confronto visivo con l’evidenza contestuale e con la specifica funzione emozionale.

Com’è risaputo, i due mezzi principali per trasporre un documento audiovisivo da una lingua ad un’altra sono il doppiaggio e la sottotitolazione.

Da quasi novant’anni (1930), il pubblico cinematografico va incontro allo stesso tipo di problemi insolubili che da secoli affronta il pubblico letterario. Il miglior modo per non “travisare” le scelte linguistiche dell’autore è l’uso del testo originale, riservato tuttavia purtroppo unicamente agli esperti conoscitori della lingua in questione.

Pertanto, come può, chi non conosce la lingua originale dell’opera, sperare di udire o leggere le stesse battute di chi ascolta l’opera in lingua originale e capirle e interpretarlo allo stesso modo? Chi sta dietro a tutto questo meccanismo di post-produzione, alla base dello scambio culturale?

Nel doppiaggio si tratta del dialoghista-adattatore, il cui compito è di utilizzare una traduzione coerente dei dialoghi: egli deve conoscerne l’ambientazione, valutarne la performatività e soprattutto conoscere il contesto originale dell’opera, in modo da condensare l’ordine di idee originario dell’opera per fornire un testo bilanciato tra la lingua di partenza e quella di arrivo, conservando l’emotività originale.

A queste anomale figure di “scrittori-traduttori” cinematografici, si affianca il direttore di doppiaggio“regista” della banda sonora in lingua straniera che dirige la recitazione degli attori-doppiatori e mette in scena nello spazio sonoro della sala il lavoro del dialoghista. Ha la responsabilità di garantire una certa fedeltà nella qualità vocale e nell’interpretazione dell’attore, che ne avvicini la recitazione il più possibile a quella dell’attore originario.

Il film è un’opera complessa basata sulla trasmissione di senso e ha pertanto un valore contestuale, il cui senso va cioè letto in rapporto all’immagine. È il senso complessivo di una simile struttura, che l’adattatore o il sottotitolatore devono riuscire a rendere nella lingua di approdo.

La base data dal contesto è di vitale importanza, in quanto soprattutto le parole inglesi celano diversi significati a seconda della persona, del luogo o addirittura dello scopo che si vuole raggiungere. Per capire meglio come funziona il contesto, possiamo prendere in esame la commedia noir The Snatch di Guy Ritchie, nella quale troviamo Brad Pitt nei panni del pavee (popolo nomade irlandese) Mickey O’Neil: nella sua versione originale parla una lingua quasi impossibile da capire, dove si alternano slang, parole tronche e qualche termine inglese appena comprensibile, il tutto contornato da una grammatica molto discutibile.

Risulta chiaro che anche la versione italiana debba mantenere questa peculiarità del personaggio, ma la trasposizione è stata tutt’altro che semplice: il traduttore non poteva appoggiarsi ad una lingua già esistente, come ad esempio un dialetto nostrano, in quanto era proprio il contesto a non permetterlo (un nomade irlandese che parla in dialetto italiano non rende la cultura di base del personaggio, sebbene sul piano teorico il ragionamento non sia del tutto sbagliato), era necessario creare un linguaggio ex novo per evitare banalizzazioni. Ascoltando il doppiaggio, la parlata del personaggio sortisce lo stesso effetto dell’originale, inserendosi in modo efficace e coerente nel contesto del film.